Cass. Pen. sez. III - Sent. 14/07/2022 n. 27199 - Reati edilizi - Costruzione abusiva - Responsabilità del proprietario non formalmente committente

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca - Presidente -
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere -
Dott. NOVIELLO Giuseppe - Consigliere -
Dott. MENGONI Enrico - Consigliere -
Dott. MAGRO B. Maria - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

F.A., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 28/05/2021 della CORTE APPELLO di NAPOLI;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere MARIA BEATRICE MAGRO;

letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del ricorso Ricorso trattato ai sensi ex del D.L. n. 137 del 2020 art. 23, comma 8.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 28 maggio 2021, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Napoli, con la quale l'imputata F.A. era stata condannata alla pena di anni uno di arresto e ad Euro 30.000 di multa, con ordine di demolizione delle opere e del ripristino dei luoghi con sospensione della pena subordinatamente alla demolizione, per i reati di cui agli D.p.r. n. 380 del 2001 artt. 44 lett.c), 83, 95, 64 e 71, e di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004 art. 181.

2. Avverso la sentenza l'imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento.

2.1. Con un primo motivo di censura, in ordine alla responsabilità, si deduce la violazione del D.p.r. n. 380 del 2001 art. 44, in relazione al fatto che i lavori non erano in corso, ma ultimati, essendo stati realizzati in epoca risalente, negli anni 75/80, come emerge dalla scheda catastale del 20 settembre 1975 e dalle foto aeree del 2012, da cui si trae l'esistenza di una terrazza pavimentata e di un parapetto. Eccepisce inoltre di essere solo la comproprietaria degli immobili indivisi, e non la committente, in quanto non residente nell'abitazione, nè di essere mai stata vista a dirigere i lavori. Infatti, risulta dalle dichiarazioni del teste F.G. che le opere sono state eseguite dall'altro fratello F.G., mentre alla ricorrente, semmai, può essere addebitato solo il rifacimento della pavimentazione della terrazza e del parapetto di recinzione, peraltro non facenti parte della sua unità immobiliare, ma su cui ella transita soltanto per raggiungere le scale che accedono all'abitazione dove risiede il figlio. Anche il locale caldaia non è riconducibile alla porzione di proprietà o posseduta dalla ricorrente, ma dal fratello F.G.. Si evidenzia comunque che le opere in questione non richiedono titolo abilitativo.

2.2. Si deduce violazione di legge non essendo ravvisabile il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004 art. 181, poichè le opere non richiedono alcuna autorizzazione paesaggistica, trattandosi di adeguamento funzionale di opere preesistenti, i cui volumi e la sagoma non sono stati modificati, come contraddittoriamente ammette il giudice laddove fa riferimento alla trasformazione dell'immobilè. Si tratta in sostanza di rifacimento di opere preesistenti e di mero mutamento di destinazione, che non richiede permesso di costruire, e giammai di realizzazione di costruzione abusiva ex novo. Nè vi è stata grave e rilevante manomissione del territorio con alterazione della sua conformazione naturale. Ebbene tali opere avrebbero richiesto solo =51 una denuncia di inizio di attività, non essendo necessaria l'autorizzazione paesaggistica a norma del D.Lgs. n. 42 del 2004 art. 149.

2.3. Con ulteriore motivo si deduce la mancanza di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, posto che l'imputazione era circoscritta alla sola contestazione della creazione ex novo di un'opera del tutto abusiva, mentre dall'istruttoria dibattimentale è emerso che la costruzione preesisteva e che l'abuso è consistito in un mutamento di destinazione o comunque in una illegittima trasformazione, senza alcun incremento di superficie. Pertanto, avrebbero richiesto una mera denuncia di inizio di attività.

2.4. Infine con ulteriori motivi il ricorrente deduce l'assenza di prova in ordine alla realizzazione delle opere, l'intervenuta prescrizione del reato, già nel corso del giudizio di appello, posto che il dies a quo che segna la consumazione del reato, come emerge dalla dichiarazioni del teste G.G., è il 25 gennaio 2016, ovvero la data in cui ha constatato l'esistenza delle opere. In ogni caso le opere sono visibili fin dal 2012.

2.5. Si deduce la mancata applicazione dell'art. 131 bis c.p., pur trattandosi di opere di estrema tenuità, posto che non si tratta di zona sottoposta a vincolo idrologico e che non arreca alcun pregiudizio per l'assetto del territorio e che consistono nel rifacimento della pavimentazione del terrazzo e non creano nuovi volumi.

2.6. Si deduce infine anche la illegittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena alla demolizione delle opere, peraltro detenute dal fratello F.G., disposta dal giudice sulla base della presunta persistenza della ricorrente nella realizzazione delle opere abusive.

3. Il Procuratore Generale, nella sua requisitoria, ha chiesto declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

In ordine al primo motivo di ricorso, questa Sezione Terza con sentenza n. 47083 del 22/11/2007, ha affermato il principio per il quale i reati previsti dall'art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 devono essere qualificati come reati comuni e non come reati a soggettività ristretta, salvo che per i fatti commessi dal direttore dei lavori e per la fattispecie di inottemperanza all'ordine di sospensione dei lavori impartito dall'Autorità amministrativa. Ne consegue che anche il proprietario "estraneo" (ovvero privo delle qualifiche soggettive specificate all'art. 29 del richiamato decreto: committente, titolare del permesso di costruire, direttore dei lavori) può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, purchè risulti un suo contributo soggettivo all'altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40, comma 2, c.p., in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato. Ne segue che "la responsabilità del proprietario che non abbia la disponibilità dell'immobile interessato dalle opere abusive, non può essere desunta dal mero rapporto di parentela e dal vincolo di convivenza con il committente delle stesse ma necessita di ulteriori elementi sintomatici della sua partecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, come la presentazione della domanda di condono edilizio, la presenza sul posto, lo svolgimento di un'attività di vigilanza dei lavori o l'interesse alla realizzazione dell'opera" (Fattispecie di immobile concesso in comodato dal nudo proprietario al proprio padre Sez.3, n. 16155 del 16/01/2019 Ud. (dep. 15/04/2019) Rv. 275401 - 01). Nello stesso senso, anche Sez.3, n. 38492 del 19/05/2016, Rv. 268014 - 01; Sez.3, n. 24138 del 27/04/2021, Rv. 281540 - 01).

Tanto premesso, si osserva che il giudice a quo ha dato atto a pagina 8 che la F. era presente sui luoghi al momento dei sopralluogo del 25/11/2016 effettuato dai Carabinieri a seguito della denuncia presentata e che l'immobile di sua proprietà fosse in uso al figlio o il nipote.

2. In merito alle eccezioni volte a evidenziare l'insussistenza del reato di cui all'art. 181 del D.Lgs. n. 42 del 2004, poichè le opere non richiedono alcuna autorizzazione paesaggistica, trattandosi di adeguamento funzionale di opere preesistenti, i cui volumi e la sagoma non sono stati modificati, si osserva che secondo consolidata giurisprudenza, anche il mutamento di destinazione d'uso mediante opere richiede autorizzazione paesaggistica se trattasi di zona soggetta a vincolo e il permesso di costruire (Sez. 3, n. 43173 del 05/07/2017, Rv. 271336 01). Nessuna rilevanza quindi assume l'evenienza che la sagoma e i volumi non fossero stati modificati ai fini delle violazioni paesaggistiche nè ai fini della necessità di ottenere il permesso di costruire. Peraltro, la medesima descrizione delle opere evidenzia che si tratta di interventi che trasformano in maniera definitiva il territorio e che quindi avrebbero richiesto il permesso di costruire.

3. Non può ritenersi fondata la doglianza relativa alla violazione dell'art. 521 c.p.p. perchè l'imputata non ha realizzato una costruzione del tutto abusiva. I giudici di legittimità hanno infatti ribadito come l'accertamento della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza non si esaurisca nel mero confronto letterale tra contestazione e sentenza, dovendosi, invece, verificare se l'imputato attraverso l'iter processuale sia venuto a trovarsi nella concreta condizione di potersi difendere in ordine all'oggetto dell'imputazione. Il suddetto principio non impone, dunque, una conformità formale tra i termini in comparazione, ma implica la necessità che il diritto di difesa dell'imputato abbia avuto modo di dispiegarsi effettivamente. Pertanto, di violazione del principio in commento può parlarsi solo nel caso in cui il mutamento della cornice accusatoria abbia effettivamente comportato una novazione dei termini dell'addebito tale da rendere la difesa menomata proprio sui profili di novità che da quel mutamento sono scaturiti e da determinare un concreto regresso sul piano dei diritti difensivi. Ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo confronto, puramente letterale, fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione è del tutto insussistente laddove, come nel caso di specie, l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U., n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco; Sez. U., n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). Ma anche a volersi attenere al tenore testuale dell'imputazione, in quest'ultima sono chiaramente scolpiti i lineamenti fattuali della condotta rilevante del capo a) ex art. 44 lett.c) del D.Lgs. n. 380 del 2001, poichè la contestazione è esplicita nell'indicare le opere abusive realizzate senza permesso di costruire in zona sottoposta a vincolo, quali la muratura di confine, il locale tecnico, il terrazzo pavimentato. Ragion per cui l'imputata è stata senz'altro posto in condizioni di rendersi ampiamente conto della sostanza dell'addebito mossogli e di elaborare ogni più opportuna strategia difensiva. Non può pertanto ravvisarsi alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

4. Il motivo in tema di decorrenza del dies a quo della prescrizione in ordine all'accertamento della data di commissione del reato richiama atti del procedimento che involgono il giudizio di merito effettuato dal primo giudice e dalla Corte territoriale, non sindacabile in sede di legittimità.

5. Neanche il quinto motivo di ricorso può essere accolto, collocandosi sul piano del merito. Il giudizio sulla tenuità, nella prospettiva delineata dall'art. 131-bis c.p., richiede, infatti, una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U., n 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590). Ne deriva che le determinazioni adottate dal giudice a quo, in ordine alla ravvisabilità della particolare tenuità del fatto, sono insindacabili in sede di legittimità ove siano supportate da motivazione conforme alle indicazioni enucleabili dalla predetta pronuncia delle Sezioni unite ed esente da vizi logico-giuridici. Inoltre, costituisce ius receptum che, ai fini della applicabilità dell'art. 131-bis c.p. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell'intervento abusivo - data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive - costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell'immobile, l'incidenza sul carico urbanistico, l'eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l'impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l'eventuale collegamento dell'opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall'amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell'intervento (Sez. 3, n. 47039 del 18/10/2015, R v. 265450 - 01) Al riguardo, la Corte d'appello ha evidenziato che le costruzioni abusive sono ubicate nel centro urbano, in area sottoposta a vincolo paesaggistico, sismico e idrogeologico, estese, completate nella rifinitura e pronte all'uso, constando anche in una terrazza in cemento armato di circa 13 mq.

6. In ordine alla doglianza della illegittimità della subordinazione della sospensione condizionale della pena al ripristino dello status quo ante a spese dell'imputato, e al vizio di motivazione si precisa che la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena si basa sulla formulazione di un giudizio prognostico in ordine alla presunzione di astensione, da parte del colpevole, dalla commissione di ulteriori reati, da effettuarsi sulla base dei parametri indicati dall'art. 133 c.p. Cass., 24/01/1992, Gelati; Cass., 10/06/1981, Calamita; Sez. 1, n. 410 del 25/09/2003, Rv. 226618), e che la subordinazione della sospensione condizionale della pena all'adempimento di determinati obblighi può essere disposta solo con riferimento a prestazioni certe e determinate, in modo da assicurare - e da consentire di verificare- l'esatta corrispondenza tra obbligo imposto e corretto adempimento di esso. Nel caso in esame il giudice di merito ha motivato in ordine al giudizio prognostico e correttamente indicato quale fosse il contenuto dell'obbligazione.

Trattasi dunque di apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie concettuali, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità. Nè la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull'attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacchè questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.

7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2022

In mancanza di esecuzione di un provvedimento di demolizione, la medesima spetta comunque al comune

Il TAR Sardegna, con la sentenza n. 25/2022, del 12 gennaio 2022, ha statuito che, in caso di mancata esecuzione di provvedimento del dirigente comunale disponente la demolizione di un manufatto abusivo, l'obbligo della demolizione rimane in capo al comune stesso. La fattispecie esaminata dal TAR Sardegna è la seguente: nell'anno 2010 erano state effettuate, nel territorio del Comune di Olbia, opere di demolizione e ricostruzione di un immobile in totale assenza di titolo edilizio. Successivamente, con ordinanza n. 8, del 26 agosto 2012, il dirigente del servizio controllo edilizia e prevenzione abusi dello stesso comune aveva disposto la demolizione delle opere abusive realizzate; demolizione mai avvenuta ed ordinanza rimasta, quindi, ineseguita, nonostante nota di sollecito inviata dall'attuale ricorrente al TAR Sardegna. Il quale TAR, con la sentenza che si commenta, ha dichiarato l'obbligo del Comune di Olbia di procedere a dare esecuzione all'ordinanza sopra individuata, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione della medesima; contestualmente, nominando un commissario ad acta, in caso di perdurante inerzia del comune stesso.

Vasco Talenti

T.A.R. Sardegna - Sent. 12/01/2022 n. 25/2022

 

Realizzazione piscina interrata: necessari permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica

Con la sentenza 11586/2019, il Tar del Lazio è intervenuto in merito alla realizzazione di una piscina e ha spiegato quali sono i permessi necessari.

In particolare, secondo quanto stabilito, sebbene interrata la piscina crea volume, di conseguenza deve essere ritenuta nuova costruzione e serve il permesso di costruire.

Il caso esaminato dal Tar del Lazio fa riferimento alla realizzazione di una piscina interrata, di locali annessi e di altre opere in zona vincolata (muretti, porticato e pannelli solari). Secondo il proprietario non serviva il permesso di costruire, in quanto la piscina e i locali annessi costituivano pertinenze dell’edificio principale e i diversi lavori potevano rappresentare "manutenzione straordinaria e adeguamento funzionale di opere pertinenziali". Di avviso diverso il Comune, che aveva disposto la demolizione delle opere.

La realizzazione di una piscina interrata e di locali annessi in zona vincolata, integrando interventi di nuova costruzione, necessitano del previo rilascio del permesso di costruire nonché dell'autorizzazione paesaggistica e non sono suscettibili di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell'art. 167 del D. Leg.vo 42/2004, in quanto hanno determinato la creazione di nuova volumetria.

Inoltre, avendo riguardo al profilo urbanistico, non assume rilievo il richiamo al concetto di pertinenza, allorché tutti gli elementi strutturali concorrono al computo della volumetria dei manufatti, siano essi interrati o meno, e fra di essi deve intendersi ricompresa anche la piscina, in quanto non qualificabile come pertinenza in senso urbanistico in ragione della funzione autonoma che è in grado di svolgere rispetto a quella propria dell'edificio al quale accede.

Fonti: www.edilsocialnetwork.itwww.idealista.it 

 

Reati edilizi - Costruzione abusiva - Responsabilità del proprietario non formalmente committente

Anche il proprietario "estraneo" può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, purché risulti un suo contributo soggettivo all'altrui abusiva edificazione da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente la semplice connivenza.

Ne consegue che la responsabilità del proprietario che non abbia la disponibilità dell'immobile interessato dalle opere abusive, non può essere desunta dal mero rapporto di parentela e dal vincolo di convivenza con il committente delle stesse, ma necessita di ulteriori elementi sintomatici della sua partecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, come la presentazione della domanda di condono edilizio, la presenza sul posto, lo svolgimento di un'attività di vigilanza dei lavori o l'interesse alla realizzazione dell'opera.

Ugo Auteri

Cass. Pen. sez. III - Sent. 14/07/2022 n. 27199

T.A.R. Sardegna - Sent. 12/01/2022 n. 25/2022 - In mancanza di esecuzione di un provvedimento di demolizione, la medesima spetta comunque al comune

Pubblicato il 17/01/2022
N. 00025/2022 REG.PROV.COLL.
N. 00655/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 655 del 2020, proposto da:
Pietrina Savigni in Pinducciu, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Longheu, Anna Francesca Fazio e Carlo Longheu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Olbia, rappresentato e difeso dall'avvocato Enrico Cottu, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia ed elettivamente domiciliato in Cagliari, Via Logudoro, 3/B, presso lo Studio dell’Avv. Manuela Gagliega;

nei confronti

Marianna Stocchino, rappresentata e difesa dagli avvocati Bettino Arru e Pietro Vittore Carzedda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Silvio Pinna in Cagliari, via San Lucifero n. 65;

per la declaratoria di illegittimità:

- del silenzio serbato dal comune di Olbia sull'istanza inoltrata via PEC in data 5 marzo 2020, con cui la ricorrente ha chiesto allo stesso Comune di esercitare i propri poteri sanzionatori e repressivi al fine di eliminare un manufatto abusivo realizzato dalla controinteressata sul confine con la proprietà della medesima ricorrente in Olbia, via della Spiaggia n. 6, località Pittulongu, in esecuzione dell'ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 26/2012 emessa dal Servizio Controllo Edilizia e Prevenzione Abusi del Comune di Olbia in data 2.08.2012, nonché per la condanna dell'amministrazione resistente all'adozione dei provvedimenti richiesti.

Visti il ricorso e i relativi allegati.

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Olbia e di Marianna Stocchino.

Visti tutti gli atti della causa.

Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2022 il dott. Antonio Plaisant e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.

La sig.ra Pietrina Savigni in Pinduccio, odierna ricorrente, espone che nel 2010 la sig.ra Marianna Stocchino, attuale controinteressata, aveva effettuato opere di demolizione e ricostruzione in ampliamento di un fabbricato di sua proprietà -sito in Olbia, loc. Pittulongu, su terreno adiacente a quello della stessa Savigny- aprendo, fra l’altro, una veduta in affaccio sul muro di confine tra le due proprietà, in assenza di titolo edilizio e in violazione della distanza minima dal confine stabilita dal Piano di risanamento urbanistico relativo alla zona di riferimento, oltre tutto protetta da vincolo paesaggistico ministeriale.

Con ordinanza 26 agosto 2012, n. 8, il Dirigente del Servizio Controllo Edilizia e Prevenzione Abusi del Comune di Olbia aveva disposto la demolizione delle opere abusive, ma tale ordinanza è rimasta sempre ineseguita, nonostante una prima nota di sollecito inviata dall’interessata in data 11 novembre 2015 e una seconda istanza-diffida inviata con PEC del 6 marzo 2020.

Con il ricorso in esame, notificato in data 4 novembre 2020, la sig.ra Savigny ha chiesto accertarsi l’illegittimità del silenzio in tal modo serbato dal Comune, con la conseguente condanna della stesso a eseguire la predetta ordinanza di demolizione.

Costituitosi in giudizio, il Comune di Olbia ha eccepito l’inammissibilità della domanda perché avente a oggetto il compimento di un’attività materiale, invece che l’adozione di atti formali.

Inoltre ha riferito che -per iniziativa del tecnico appositamente nominato- si era, nel frattempo, proceduto, dapprima, all’immissione nel possesso delle opere abusive e del relativo sedime e, poi, esattamente in data 15 settembre 2020, alla denuncia di variazione catastale relativa all’acquisizione del bene al patrimonio comunale.

Con successiva memoria del 21 ottobre 2021 la stessa difesa comunale ha versato in atti la determinazione dirigenziale 13 ottobre 2021, n. 4359, con cui è stata avviata una procedura selettiva per la scelta dell’impresa cui affidare la materiale demolizione delle opere abusive.

Su tale presupposto all’udienza camerale del 27 ottobre 2021 è stato disposto un breve rinvio, al fine di consentire la definizione della procedura amministrativa in atto.

Successivamente non sono, tuttavia, pervenute ulteriori comunicazioni, a eccezione di una nota del 5 gennaio 2022 con cui la ricorrente ha chiesto il passaggio della causa in decisione, poi effettivamente intervenuta all’esito dell’udienza camerale del 12 gennaio 2022.

A tal fine deve essere, in apice, respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa comunale, essendo pienamente condivisibile l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il ricorso di cui all’art. 31 c.p.a. è fruttuosamente esperibile anche in reazione all’omesso compimento di un’attività materiale da parte dell’amministrazione.

Difatti il dovere di concludere espressamente il procedimento amministrativo, sancito dall’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, deve essere letto (anche) alla luce del canone di esecutività dei procedimenti amministrativi, codificato all'art. 21 quater della medesima legge generale sul procedimento, a mente del quale “i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente”, il che comporta necessariamente la possibilità per l’interessato di utilizzare il rito del silenzio (anche) per ottenere la materiale esecuzione del provvedimento finale, in quanto indispensabile per conseguire una tutela concreta ed effettiva (si vedano, in questo senso, ex multis, T.A.R, Sez. II, Sardegna 22 marzo 2021, n. 208; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, 8 marzo 2011, n. 1337; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II, 5 febbraio 2018, n. 306, e Sez. II, 12 aprile 2019, n. 1029; Consiglio di. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2565; da ultimo, T.A.R. Catania, Sez. III, 27 aprile 2020, n. 822).

Nel merito il ricorso è fondato, vista l’intervenuta, ormai da tempo (vedi supra), scadenza del termine per provvedere sulle richieste dell’interessato.

Deve perciò dichiararsi l'obbligo del Comune di Olbia di eseguire la citata determinazione dirigenziale n. 8/2012 mediante l'adozione di tutti gli atti e le operazioni materiali all'uopo occorrenti, entro sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa, o dalla notificazione a cura della parte interessata se anteriore, della presente sentenza.

Deve, inoltre, procedersi, alla nomina -nella persona del Dirigente generale dell’Assessorato Enti Locali e Urbanistica della Regione Sardegna o di un delegato, supplente o facente funzioni- di un Commissario ad acta, il quale, in caso di perdurante mancata esecuzione nel termine sopra indicato da parte del Comune, provvederà agli atti e alle operazioni materiali necessarie all’esecuzione della sopra citata ordinanza entro ulteriori sessanta giorni, termine che inizierà a decorrere dal giorno in cui il Commissario avrà ricevuto comunicazione dell’infruttuosa scadenza del sopra citato termine a disposizione del Comune, a cura della parte ricorrente; il compenso eventualmente spettante al Commissario ad acta, pari euro 1.500,00, dovrà essergli interamente corrisposto dal Comune di Olbia.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe proposto e, per l'effetto, dichiara l'obbligo del Comune di Olbia di eseguire l’ordinanza di demolizione n. 26/2012 del 2 agosto 2012, mediante l'adozione degli atti e delle operazioni materiali all'uopo occorrenti, entro sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa, o dalla notificazione a cura della parte ricorrente se anteriore, della presente sentenza.

Nomina Commissario ad acta, per il caso di perdurante inadempimento del Comune nel termine sopra descritto, il Dirigente generale dell’Assessorato Enti Locali e Urbanistica della Regione Sardegna o suo delegato o supplente, che provvederà nei termini e alle condizioni descritti in motivazione.

Condanna il Comune di Olbia alla rifusione delle spese di lite in favore della ricorrente, liquidate in euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre al contributo unificato, nonché al pagamento del compenso eventualmente spettante al Commissario ad acta, liquidato in euro 1.500,00 (millecinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lensi, Presidente

Grazia Flaim, Consigliere

Antonio Plaisant, Consigliere, Estensore

Titolo edilizio sempre impugnabile se non se ne conosceva l'esistenza

Con ricorso al TAR per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, un soggetto chiede l'annullamento di una concessione edilizia in sanatoria; ma il TAR adito dichiara irricevibile l'impugnazione per tardività. Lo stesso ricorrente in primo grado appella la decisione a lui sfavorevole del TAR davanti al Consiglio di Stato, la cui Sezione sesta, con la sentenza n. 3101/2022, del 21 aprile 2022, in merito all'irricevibilità dichiarata dal primo giudice afferma la non condivisibilità della stessa, attesa la circostanza che di decorrenza del termine decadenziale può parlarsi solo nel caso in cui, in capo al ricorrente avverso il provvedimento ritenuto lesivo, sia ascrivibile una condizione certa di conoscenza del provvedimento stesso, cosa che, nel caso di specie, manca sotto il profilo probatorio.

Vasco Talenti

Consiglio di Stato - Sentenza 21/04/2022 n. 3101

Informativa Questo sito utilizza cookie e strumenti di tracciamento tecnici e, previo il tuo consenso, di profilazione per finalità pubblicitarie come specificato nella nostra cookie policy.